Il silenzioso avanzare dell'autonomia differenziata :: Le tappe

 

Quali sono state le principali tappe del percorso dell’Autonomia differenziata?

Nel 2001, è stata introdotta in Costituzione (art. 116, c. 3) la facoltà, per le Regioni a statuto ordinario, di richiedere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. Punto fondamentale per le Regioni, il fatto che alla attribuzione della potestà legislativa consegue, necessariamente, il trasferimento delle risorse finanziarie.

Nel 2009, la legge sul federalismo fiscale prevedeva che lo Stato colmasse integralmente – tramite un fondo perequativo – il gap tra la capacità fiscale e il fabbisogno degli enti locali. Ma questo non è avvenuto. Addirittura, quando nel 2015 il leghista Giancarlo Giorgetti chiese una simulazione della perequazione al 100%, i dati non vennero mai resi pubblici, perché - con l’applicazione della legge Calderoli - ai comuni del Sud sarebbero arrivati decine di milioni in più.

Il 22 ottobre 2017, i presidenti di Veneto e Lombardia hanno indetto un referendum consultivo sull’autonomia che ha visto in Veneto un’affluenza del 57% e in Lombardia del 38%. Poco dopo, anche il presidente dell’Emilia-Romagna ha ottenuto il mandato dalla sua assemblea per la richiesta al governo.

Quali sono, per Regione Lombardia, i punti di forza dell’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?

Viene detto che la richiesta attua alla lettera il dettato costituzionale che riconosce le diversità che ci sono fra zone del Paese: certo i lombardi devono avere condizioni veramente particolari, devono essere veramente cittadini speciali per richiedere 20 materie, in pratica tutte quelle che il dettato costituzionale dice “possono” essere attribuite alle regioni.

Si dice valorizzerà il mondo della scuola riconoscendo alla Regione un ruolo più rilevante: in realtà, si porterà a termine un percorso di subordinazione della scuola della Repubblica alle esigenze del mercato iniziato ben prima della “Buona scuola” fin da quando, agli inizi degli anni 2000, la Regione decretò il “Buono scuola” (ora “Dote scuola”), un contributo finanziario che finiva sostanzialmente per sovvenzionare le scuole paritarie (private).

Amplierà le funzioni esercitabili dalla Regione ai fini della tutela ambientale: bonifica di siti contaminati, interventi di prevenzione e ripristino ambientale nonché di gestione di rifiuti.        

Queste parole così seducenti nascondono la realtà di un territorio che viene definito la Seconda Terra dei Fuochi, non solo in senso metaforico. Impianti fortemente impattanti, raddoppio degli inceneritori, sversamento di tonnellate di fanghi in agricoltura che dura da decenni senza adeguati controlli, infiltrazioni della criminalità organizzata nella gestione dei rifiuti. Un rafforzamento di connivenze da fare veramente paura. Questo nell’area padana. In una delle zone più inquinate del mondo. In sostanza, la frammentazione è già in atto. Cosa si potrebbe aggiungere con la richiesta di ulteriori forme di autonomia? Questo: la disarticolazione del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, la subordinazione degli Organi Collegiali delle scuole alle scelte politiche di ogni singolo Consiglio regionale e il taglio dei servizi pubblici sotto l’etichetta della ottimizzazione delle risorse.

Il servizio sanitario lombardo

Un’attenzione particolare merita il tema della Sanità. In questo ambito, l’autonomia è già una realtà.  Con l’Autonomia Differenziata, dice la Regione, migliorerà il sistema sanitario: qui le parole chiave sono mergermania (fondere, leggi: tagliare) e … equivalenza e virtuosa competizione di pubblico e privato. Sappiamo bene che il privato concentra i servizi solo su quelli più redditizi e che, dopo quaranta anni di tagli, mancano la prevenzione e l’assistenza territoriale. Questa «interazione» tra pubblico e privato inciderà su un approccio clinico sempre più orientato verso terapie e cure a posteriori e meno sulla prevenzione, come racconta da 20 anni e più un sistema sanitario regionale «ospedalocentrico».

La reputazione di Regione Lombardia, dapprima nella gestione dell’emergenza e poi nelle risposte alla pandemia, è stata compromessa proprio per l’incapacità di rispondere prontamente ai bisogni di cura e protezione sociale a partire da un modello di sistema sanitario ed economico rivendicato come migliore e autosufficiente. Un modello che è stato pensato sin dal ‘97 come un laboratorio di esperimenti mercatisti dove le scelte che lo sostengono sono basate sulla privatizzazione dei servizi socio-sanitari e sullo smantellamento dei presidi territoriali.

 A chi conviene l’Autonomia differenziata?

L’autonomia Differenziata non conviene a nessuna regione. Su questi temi si scontrano due concezioni opposte: la prima ritiene necessario far correre le regioni più forti a scapito di quelle maggiormente in difficoltà, investendo prioritariamente proprio in quelle aree. La seconda rovescia completamente la prospettiva e punta a rimuovere la divaricazione Nord/Sud: in questa ottica, il Sud diventerebbe il secondo motore del Paese anche nell’interesse del Nord. La prima dimentica l’importanza del mercato interno: un errore che l’Europa non ha fatto, destinando invece una quota rilevante dei fondi del Piano di Ripresa e Resilienza alle regioni a bassa crescita, nella consapevolezza che non ci si salva da soli.

L’autonomia Differenziata non conviene ai Comuni che si troverebbero di fronte ad un neo centralismo regionale: la programmazione regionale prevarrebbe su quella statale, per questo la partita dei fondi del PNRR deve essere giocata prioritariamente al Sud, ma sembra che non si vada in questa direzione. Ad esempio, i criteri per la partecipazione ai bandi, come il caso dei 700 milioni per i nuovi asili nido già previsti nel piano, premiano i comuni in grado di cofinanziare la spesa, sarà quindi consentito un aumento di asili a chi ne ha già e lascerà a zero chi ne è privo. Il Disegno di legge Concorrenza aggrava ancor più la posizione dei comuni prevedendo la definitiva privatizzazione dei servizi pubblici locali.

L’autonomia Differenziata non conviene allo Stato: l’Intesa tra Governo e Regioni si prefigura come un rapporto esclusivo tra esecutivi. Il Parlamento avrebbe un ruolo marginale e ogni principato regionale si troverebbe a contrattare con il Governo la piena autonomia e il trattenimento delle risorse fiscali su 23 materie: dalla sanità all’istruzione, dai contratti di lavoro all’ambiente e alle infrastrutture.

Lep o Lup?

La definizione dei Lep (Livelli Essenziali delle Prestazioni) è considerata un presupposto per portare a termine il processo di Autonomia Differenziata. Questi infatti dovrebbero rappresentare il livello garantito di servizi che lo Stato assicura su tutto il territorio nazionale, in modo da non provocare eccessivi squilibri tra le Regioni, anche dopo la cessione delle competenze. Tuttavia, più che dei Lep, si sente l’esigenza di definire i LUP, i Livelli Uniformi delle Prestazioni per garantire l’applicazione, in tutte le Regioni, degli stessi standard minimi di qualità per i servizi pubblici essenziali.  

Una volta definiti questi standard minimi, lo Stato sarebbe dovuto intervenire per sostenere finanziariamente quei territori che ne avessero avuto necessità al fine di fornire i servizi della qualità stabilita. Tuttavia, in 20 anni, i Lep non sono mai stati definiti.

Ma non basta la definizione di questi livelli per impedire i danni dell’Autonomia differenziata. Per fare un esempio, una volta stabilito il costo standard unitario di formazione per studente, da applicare uniformemente su tutto il territorio nazionale, chi può impedire che tutta l’istruzione passi sotto il controllo regionale: programmi, dirigenti, personale e ufficio scolastico? Nella pratica, diventerebbero regionali l’organizzazione didattica, il sistema delle graduatorie e il trattamento economico degli insegnanti, attraverso concorsi regionali. Ma anche l’offerta formativa e l’assegnazione di contributi alle scuole paritarie. Il rischio evidente è di avere tanti sistemi scolastici diversi regione per regione, con programmi, titoli di studio e gestione del personale locali.

Da dove partire?

Il professor Gianfranco Viesti, già nel 2019, aveva lanciato un grido d’allarme con  un  saggio “Verso la secessione dei ricchi?"  E in occasione di un incontro nella sede dell’IS E. Molinari di Milano sottolineava come la partita sull’Autonomia Differenziata si dovesse giocare a Milano e in Lombardia. Il referendum lombardo del 22 ottobre 2017 per la richiesta di maggiore autonomia aveva portato solo circa il 38% degli aventi diritto alle urne, questo vuol dire che su Milano, sulla Lombardia si può lavorare. Se si parte dalla Lombardia, abbiamo buone probabilità di incidere.